martedì 14 dicembre 2010

Tutto si confonde
poichè tutto m'appare
e d'improvviso
senza distinzione.
M'immergo nelle mie profondità
non è facile nuotare in questo mare
così pieno di pensieri che mi urtano ad ogni momento
e diversi fra loro.
E nodi allo stomaco
che sono la mia quotidiana realtà.
Il diaframma con ciò che dentro di me si ripiega in sè stesso
è annullato.
E' buio questo oceano
quasi non ci vedo.
Ma sento.
La mia impotenza
la mia decisione di non contare
nè per me nè per altri.
La mia immobilità
la sconfitta da cui non mi sono mai più riavuta.
Io che parlo così spesso di mutamento
mi riscopro fedele a vecchie visioni
che forgiano la mia esistenza
da troppo tempo.
Ci vorrebbe un pò di luce quaggiù
per riordinare le cose.
Trovare il coraggio di buttare via quelle vecchie
e trasformare quelle che non posso allontanare.
Ma mai più nascondere.
Tutto il tempo della mia sofferenza quaggiù
è un lasso troppo breve di fronte a ciò che può avvenire.
Decido di starci.
Decido di urticarmi.
Decido di sottopormi all'inevitabile
per mutare.
Sono ancora bambina in attesa del suo carnefice.
Nei momenti in cui tutto si zittisce lo vedo chiaramente.
La speranza che il padre si redima
amandomi finalmente
non lascia ancora la presa del mio cuore.
E' visione calcificata ormai.
Ma non inscalfibile.
Ogni opacità può tornare luce
nel silenzio.


Perchè se lui non mi ama
io sono finita!
Non ho altro padre all'infuori di lui!
Nè zio, nonno o parente!
Una buia stanza mi aspetta
in cui passo ore solitarie
senza fare nulla
il muso chino sul letto
e un insopportabile
sordo
indefinito muro di silenzio dentro
che è il silenzio ottuso della soppressione.
Non voglio sentire
non voglio sentire l'angoscia che mi si agita dentro
sto male
troppo male.
E' violento.
E non voglio.
Meglio morire di morte viva.
Ad occhi spalancati
 la nuca poggiata sulla coperta.
Ci vorrebbe un pò di luce.
Per smetterla di accudire chi mi ferisce.
Prendermi cura di lui.
E accettarne tutto il male.
Aspettandolo.
Anche dopo il suo tradimento.
Come una bimba legata ad un palo
da catena d'acciaio che le afferra la caviglia.
Ecco così io ora sono in attesa di lui
come lo sono stata per anni di mio padre.
Un'abitudine letale avevo forgiato a me stessa
costretta dall'impossibilità della scelta.
E ora che la vita è avanti
mi riscopro legata a quel vincolo
che per tutto il lasso di tempo definito in cui ho respirato
avevo nascosto a me stessa
impedendomi di viverlo.
Ancora nella triste
patetica attesa
che l'unione si compia finalmente.
Con la speranza nel cuore che lui pensi ancora a me.
Ma mi ha accantonata.
Lasciata da parte.
Dimenticata.
Punita.
Ridicolizzata.
Umiliata.
Ferita.
Per me ha sempre e solo provato indifferenza,
malato egli stesso non può amare.
E io qui
patetica a me stessa
che mi chiedo quando tornerà?
se mi penserà?
si struggerà per me?
In tutto questo, sto.
Non me ne allontano.
Per guarire
e rinascere.
Non ho altra scelta.

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